Draugr – “Nocturnal Pagan Supremacy” (2006)

Artist: Draugr
Title: Nocturnal Pagan Supremacy
Label: Christhunt Productions
Year: 2006
Genre: Black/Folk Metal
Country: Italia

Tracklist:
1. “Dove Regna L’Inverno (Intro)”
2. “Nocturnal Pagan Supremacy”
3. “Spirit Of The Past”
4. “Reborn In Darkness”
5. “Land Of Warriors (Part I)”
6. “Land Of Warriors (Part II)”
7. “The Forest Where I Died”
8. “Furore pagano”
9. “War Is My God”
10. “The Night Of The Wolf”

È tra le note incontaminate di lassù, oltre il vegliare sull’Abruzzo delle più alte vette di madre Majella cinte dalla notte e nei cui celati anfratti regna uno spietato freddo, che come gocce cristallizzate sotto il rullare marziale si materializzano con nitidezza ruvida, nell’attesa immobile dell’imminente assalto, visioni e scenari montani preannuncianti l’avvento della pagana supremazia di Vitulia tramite antichi inni a Marte, intonati da guerrieri trionfali sotto il comando di Api; una legione immortale di anime sconfinata, composta da tutti quegli antenati forse anche negletti ma che tuttavia, con le loro conquiste e con i loro traguardi culturali, economici, sociali, spirituali e persino tecnici hanno regnato sulle terre dei Sabelli, un quadrilatero geografico dalla bellezza unica al mondo tra monti, gloria e onori.
Della loro ma in fondo della nostra terra più in generale, orgogliosamente partorita dall’unione salmastra delle acque di Mediterraneo, Adriatico, Ionio e Tirreno, protesa verso l’alito innevato degli Appennini centrali, canta già nel 2006 quella che, senza malinconia di sorta, resta ancora salda sul suo trono quale la migliore band di Black Metal dai tratti pagani e folkloristici mai nata in Italia – non solo divenuta comprensibilmente tale per merito dei picchi, con un pizzico di presunzione forse anche ineguagliabili, raggiunti per mezzo del decisamente più ricercato e teatrale gioiello “De Ferro Italico”, bensì passando nondimeno per le armi grondanti una forza incantata, asce e spade incrociate in quel diamante dai tratti notevolmente più grezzi e nerissimi che lo anticipa di un lustro.

Il logo della band

Tra le più potenti genti italiche, gentium fortissimarum Italiae che sono poi Osci, Palmensi, Vestini, Irpini, Maruchini, Pelini, Marsi, e tra tutte le sannitiche gens che si celano nella memoria tortuosa delle draconiche cave longobarde di Ate e Tixa, nelle strettoie d’ombra di un passato di grandezza e virtù ormai misconosciuta pericolosamente prossima all’oblio, si respira un’aria sensibilmente pregna di terribile vendetta che trova naturale voce, la traduzione intelligibile del suo linguaggio più belluino in musica, nelle parole e nei modi del primo full-length marchiato Draugr. Perché “Nocturnal Pagan Supremacy” è la notte prima della battaglia, in cui lampi fremono elettrici per la tensione dell’incombente; a differenza del celebrato successore, nel debutto le linee folkloristiche per cui sarebbero giustamente divenuti noti tra gli estimatori sono infatti ridotte ma nondimeno essenziali, risultando fatto caratteristico e comunque costitutivo (ci si voglia rinfrescare la memoria con le strutture sia melodiche che ritmiche delle due “Land Of Warriors” o anche di episodi totalmente orientati al nero come “Spirit Of The Past”) di quella che emerge come la vera protagonista dei nove brani: l’essenza di un Black Metal mannaro, vampirico, che guarda alle possibilità più feroci ed intransigenti della sua matrice scandinava senza cercare di eguagliarla ad armi temporalmente impari (non priva dunque, anche, di più o meno velate influenze Thrash nel riffing che del resto rinvigoriscono gran parte delle coetanee proposte europee negli ambiti estremi più canonici) per affilare un fendente in “Reborn In Darkness” e “The Forest Where I Died”, episodi irripetuti nell’indimenticabile benché breve percorso degli abruzzesi, ma che qui riesce già ad essere maestoso senza la necessità di alcun paragone passato e futuro fin dalla sua incantevole introduzione per raggiungerne nuovamente i sentori, dopo il massacro centrale, sull’ululato conclusivo nei giri aperti ed epici di “The Night Of The Wolf”.

La band

Ma per altri innumerevoli e ben più concreti motivi “Nocturnal Pagan Supremacy” resta in realtà un album fortemente orgoglioso, quasi elitario: uno che non stempera la purezza del Black Metal di cui è figlio con gli inediti inserimenti folkloristici, e che la rende bensì ancor più pura proprio per la passione che questi riversano nella musica con urgenza, immediatezza, senza filtri; un disco anche alieno al suo contesto nazionale coevo e ricco d’influenze e spunti dei più diversi (su cui, lo si anticipa, torneremo prima di chiudere), di non immediatissima decifrabilità specialmente lirica e culturale in quanto fatto di rimandi spesso criptici, di citazioni e tributi più o meno velati, richiami storici e para-storici colti che esigono approfondimento attivo da parte dell’ascoltatore affinché questo possa viverlo su tutto un altro livello di lettura. Linguisticamente ricercato per conseguenza (soprattutto nel latino integrato con naturalezza in due brani come cuore pulsante e nell’italiano del pezzo più famoso dell’album, un tarlo che si svilupperà nell’imprevedibile, operistico, fluido morfismo successivo), ma al contempo fatto di melodie indimenticabili nella loro irsuta semplicità e d’idee solidissime che -in musica ed ancor più in concetto- seminano già quel prato di carne che verrà falciato dal vortice di ferro e freddo acciaio intitolato “De Ferro Italico” cinque anni più tardi.
L’assassina title-track corre del resto verso la stessa battaglia che sarà quella di “The Vitulean Empire” un lustro dopo, e insieme all’indimenticabile, toccante inno “Furore Pagano” inserisce con i suoi fiati e le sue tastiere il folklore locale più esplicito nel Black Metal di stampo italiano laddove erano in quel momento arrivati (in fogge ed esisti tuttavia decisamente diversi – e non sempre migliori) solo Inchiuvatu (“Addisiu” del 1997), i Nazgûl dello splendido “De Expugnatione Elfmuth” (riferimento cruciale soprattutto negli sviluppi posteriori alle squisite incursioni sinfoniche dall’ingresso del rivoluzionario Helsior, poi Ursus Arctos, l’aruspice di Selvans), o i più medievali Evol dell’apice “Dreamquest” del 1996 nonché i Malnàtt (con il dialetto ma anche i riferimenti stilistici ai coevi Moonsorrow tra il 2002 ed il 2005) culminati in “Carmina Pagana”. Partendo dal parziale esempio concettuale di “Ianuaria” degli Hirpus dell’anno precedente, presa lezione anche delle primitive suggestioni pagane e silvestri degli Opera IX da “The Call Of The Wood” a “Sacro Culto”, ed incanalate nei reami di una fascinazione sincera per l’eterno inverno del nord Europa impersonificatosi in Amma e nei suoi venti gelidi (tale fin da un monicker che mischia mitologia germanica ed appartenenza totemica local-nazionale alla figura del lupo, più esplicitamente omaggiato à la “Nattens Madrigal” nell’ultimo brano), “Nocturnal Pagan Supremacy” si dimostra un tassello importante nello sviluppo di una sensibilità tutta italiana in musica Black Metal; non solo dei suoi autori nell’illustre futuro a quel punto prossimo, ma dell’intero panorama più eminente della penisola che, appena nel biennio precedente, aveva iniziato a vedere le sue declinazioni più personali nella spallata Spite Extreme Wing pre-Black Metal Invitta Armata e che avrebbe dato alcuni dei suoi migliori frutti d’originalità e particolarità proprio all’interno del movimento nel lustro seguente.
Bagnato dalle rive eterne, votato a misteriosi antichi culti e all’odio, al terrore e all’oscurità nella caccia al dio cristiano in tutte le sue trasposizioni, l’Italic Black Metal dei Draugr anno 2006 (orgogliosamente evidenziato tale nel retro dell’album) riesce fin dal debutto a curare la diversità delle canzoni a cui non servirebbero nemmeno i comunque evocativi campionamenti per differenziarsi tra loro (a volte radicalmente, si prendano in esempio la bordata finale di “The Night Of The Wolf” e l’ipnotica chitarra acustica sulla disperata tela centrale di rasoi in “The Forest Where I Died”), nonché l’ottimo coefficiente compositivo che permette la riuscita immediata di ogni brano senza che la longevità e memorabilità ne risentano. Le atmosfere passionali si amplificano e respirano come fossero infuse di vita propria alla lettura dei testi, che si trasformano in storia illustrata nella voce lacerante ma già dotata di grande maturità (si apprezzino le svariate sfumature in sovraincisione tra loro) su ali batteristiche di velocità esecutive magistrali ma dai tratti persino ancora troppo precisi (un accorgimento che darà ancora più carattere alla sezione ritmica speciale del successore), eppure gelide come il vento; come l’introduzione a quella massacrante title-track ed opener che, con il suo urlo ferino, a sua volta dà il via alla pletora d’invettive contro le grandi strutture monoteistiche nello spirito e nei segreti di un passato mai totalmente sopito, in attesa d’invocazione e risveglio ma facile da ritrovare in segni, in ombre nere che inquietanti si distendono oblunghe sul presente con la minaccia del taglione. E se “Furore Pagano” (la cui conclusione anticipa persino da vicino quella di “Inverno” prima dell’ultima marcia sulla Città Eterna in “Roma Ferro Ignique”) resta con il suo organetto centrale inno per eccellenza del gruppo ed emblematica in tal senso, “War Is My God” -non priva di una certa fascinazione per l’irriducibile Black Metal teutonico dei suoi anni (giustificata non dal solo approdo a Christhunt per la pubblicazione del debutto in oggetto)- assume ad esempio altrettanta importanza per quel che tre dei quattro membri di “Nocturnal Pagan Supremacy” realizzeranno nell’ormai classico nostrano “Veni Vidi Vici” a nome Sturmkaiser nel 2008, ed in particolare nell’affine trasposizione moderna “Europa Pagana” – palesando, ve ne fosse alcun bisogno, come l’iconica ottava, ferale e folkloristica traccia del platter non emerga affatto quale l’unica degna di un’attenzione prioritaria, né quella che, soltanto, giustifichi la riscoperta del disco né riesca a segnare tutte le future rotte dei suoi compositori, non solo nei Draugr.

L’ascolto di “Nocturnal Pagan Supremacy” è quindi sì il ritrovamento di un ninnolo prezioso nell’indicare una grandezza che sarebbe stata e difatti sarà, ma che invita anche a non farsi distrarre dal lucore di quest’ultima per poter realmente godere dello splendore altrettanto autentico -seppur decisamente più acerbo- di un precedente esplicito, originale ed unico con le sue intuizioni, in un’Italia che avrebbe impiegato ancora diversi anni per fare veramente sue le suggestioni folkloristiche ed arcaiche in musica Metal grazie ai successi esteri (quelli che, naturalmente votati e senza ritardo, i Draugr avrebbero affiancato e in ottima parte superato con squisita capacità nel secondo album, spalancando finalmente le porte al genere nel paese per ricostruzioni storiche tanto veritiere e credibili quanto atmosferiche); uno di quei rarissimi casi in cui, ciononostante, è quasi corretto che un già ottimo disco Black Metal di per sé venga totalmente eclissato da un successore francamente irreplicabile, ma che ciò malgrado deve restare obbligatoriamente creditato quale il primo, effettivo ed importante episodio di una parentesi italiana in due parti -in fama alla penisola più o meno rimasta relegata per sola sfortuna discografica e relativa mancanza di mezzi- imbevuta di emozioni ed orgoglio indimenticabili.
Tuttavia “Nocturnal Pagan Supremacy” va oltre le ad ogni modo non banali ragioni storiche del minor successo che, in retrospettiva, avrebbe sicuramente potuto meritare, parlando ad alta voce di musicisti che hanno saputo dissetarsi ebbri dalla sorgente della loro storia. Artisti che, sensibilmente ed udibilmente, hanno dato tutto di loro stessi, tutto fino all’ultima goccia di sangue nella realizzazione di un lavoro che, emerge ancora chiaro all’ascolto dopo quindici anni dalla sua pubblicazione, è ricco di onesto sentimento di rivalsa, del grido di chi sente di aver qualcosa da raccontare nonostante le difficoltà, i sacrifici ed il sudore si accumulino tirannici ed impietosi su spalle e fronte; di chi, morto nella foresta di terrore atavico e rinato a nuova vita nell’oscurità nerissima di “Nocturnal Pagan Supremacy”, status quo ante bellum, aveva già udito il richiamo d’odio antico e forte scoprendo molti dei profondi segreti del suo territorio, e che ne avrebbe fatto il tesoro più grande ed influente tra tutti quelli italiani -ed oltre- mettendo a ferro e fuoco il mondo intero nel 2011. Quantomeno, quello dei privilegiati che hanno saputo in quindici anni cogliere l’urgente messaggio dalle qualità universali dell’orda abruzzese.

Matteo “Theo” Damiani

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